Convertito alla roulotte e ancora non ci credo, proprio io!

Convertito alla roulotte e ancora non ci credo, proprio io!

di Samuele Baroni

Parliamoci chiaro, non sono un pantofolaio, mai stato, anzi, mi piace mettere un po’ di rischio nella mia vita, come quel pizzico di pepe che nel sugo di pomodoro toglie quel troppo di dolce che altrimenti si sentirebbe. Però in materia di comfort, sicurezza e benessere sono piuttosto unidimensionale, mi piace quello che mi piace e in vero stile Margaret Thatcher, il mio idolo e, con qualche modifica, ho fatto sua la frase: “questo ragazzo non è fatto per le vacanze dinamiche“.

Parlando proprio delle vacanze, il defunto Premier britannico, dal 1979 al 1990, aveva poca dimestichezza con la gestione del tempo libero; descrivendo le vacanze, secondo il biografo Charles Moore, come “lavori domestici e una sgradita interruzione della gestione del Paese“.

Beh, almeno su questo punto, io e la signora T divergiamo, poiché amo le vacanze!

Comunque per me un grado di sistemazione di lusso non è negoziabile, a partire da 3 stelle plus, e mi piace avere un comodo accesso a una doccia calda corrente, un letto comodo e un soggiorno decente, con poltrone su cui posso sedermi, divano per accogliere ospiti e un comfort elegante mentre contemplo la vita. Anche il calore è essenziale, bandito tutto ciò che riporta a ricordare il freddo.

Avete campito bene che sono lontano anni luce da tutto quello che può riferirsi al campeggio, visto che negli scout ho praticato questa disciplina, almeno da quando avevo dieci anni e mi ha segnato drammaticamente per tutto il resto della vita.

Ricordo con orrore quel periodo nel quale ho dovuto tenere un occhio aperto per i ragni e faceva freddo. E che freddo!

Più tardi nella vita, quando i soldi erano pochi, con due bambini piccoli, abbiamo prenotato una volta una vacanza in campeggio, in una roulotte. Riflettendoci, probabilmente era conciata peggio di certe case mobili vecchie, fatiscenti e puzzolenti che si vedono ancora oggi in troppi campeggi.

In quella caravan stanziale, ogni volta che i bambini saltavano sul letto, dall’altra parte la televisione dondolava dall’altra parte. Sciacquare il bagno chimico, specialmente di notte, replicava il suono di un razzo tedesco della seconda guerra mondiale V1 che scendeva su Londra e il serbatoio delle acque chiare gemeva come un marmocchio viziato per quella che sembrava un’eternità.

Quando ho finito con i soldi, ho promesso a me stesso che non l’avrei mai più fatto campeggio, praticato turismo all’aperto e chiuso per sempre con le roulotte e tutto quel mondo di pazzi che si volevano del male, rinunciando al confort di un cameriere che chiami e ti porta il pranzo in soggiorno e ti serve i pasti.

Per questo da quel momento se non avevo abbastanza soldi, rinunciavo alle vacanze, mentre quando ho potuto permettermelo, ho prenotato religiosamente gli hotel di gran lusso, ogni volta che si parlava di vacanze, ed ero felice di questa sana decisione.

Poi ho avuto una di quelle conversazioni che non ti aspetti: non te lo aspetti per la persona, per il luogo e per tutto, insomma. Sai, quelle in cui ti impegni casualmente in qualcosa ma sai che non si materializzerà mai. Come quando sei in vacanza e incontri qualcuno, di solito con cui non hai nulla in comune, in un posto sperduto e dici: “Se mai passi, assicurati di cercarmi“. Sì, come no, il numero telefonico lo trovi sull’elenco, cerca bene che c’è e speriamo non lo troverai.

Questa non è altro che una cortesia caustica, anche se ad essere onesti, stavo parlando sul serio con quella ballerina in topless che ho incontrato ad Amsterdam nel 2011.

Invece, dire che sono rimasto sorpreso di essere finito in una roulotte è dir poco e di aver dormito sorprendentemente bene, per tre notti, è un eufemismo di proporzioni bibliche. Un invito causa alberghi pieni, da parte di una gentile signora, dal lavoro non proprio ortodosso, che mi ha messo a disposizione quella vecchia caravan che tiene in un campeggio, proprio per affittarla ai poveracci come me, che restano senza albergo all’improvviso, sembra uscito da un film di terza categoria. L’invito ad affittare per tre notti la sua roulotte mi sembrava una di quelle situazioni in cui la CIA in incognito studia nuove tecniche di tortura, perché per me la caravan e il campeggio questo erano.

Ricordo ancora quell’annuncio sul quotidiano web di Amsterdam e il contatto via Whatsapp e l’appuntamento per vedere la roulotte, l’indirizzo un topless bar. Mi ricordo come fosse oggi di quella signora, dei suoi tatuaggi e del fatto che aveva bicipiti più grandi di me e, a pensarci bene, una voce più profonda.

Non potevo dire di no, era il solo modo per morire in quei giorni nella città olandese e il lavoro viene prima di ogni cosa. Mentre mi avvicinavo alla mia destinazione, la mia lingua si è ammaccata mentre cercavo di ricordarmi che non era uno scherzo, che ero un professionista di successo e che il lavoro è lavoro e comunque, meglio arrivare dall’Italia per dormire in una roulotte in campeggio in Olanda piuttosto che lavorare in miniera.

Essendomi preparato per essere un idiota scontroso, cominciavo a sentirmi confuso.

L’accoglienza in campeggio fu delle migliori, gentili, cortesi e senza sorrisini; sapevano benissimo chi ero e perché ero lì.

I vicini di campeggio non puzzavano, come li ricordavo, niente denti marci come gli gnomi in certe favole del terrore e neanche una donna che urlava contro qualche bambino.

Apro la porta e la roulotte era piacevolmente calda e invitante, avevo sbagliato tutto? No, sicuramente il disastro era dietro l’angolo e chissà cosa sarebbe successo. Sì, sì, ecco, era proprio così che sarebbe andata!

Lo sapevo, non avevo prenotato per tempo l’albergo e adesso avrei dormito poco, male e perso il lavoro.

In quel confort totale, in un ambiente pulito e sereno, pensavo allo sforzo che mi aspettava per allestire la sistemazione per la notte; oddio, non mi era ancora venuto in mente!

Apro una anta: è il frigorifero, pieno di acqua e bevande, come in albergo. Per mangiare, sarei andato al ristorante del campeggio. Apro un’altra anta, è l’armadio, qui metto a posto tutto il contenuto della valigia e mi faccio coraggio: leggo le istruzioni per trasformare la dirette in letto.

Non voglio, ma devo e tutti i fantasmi del passato sono tornati in mente: maledetto campeggio con gli scout!

Mi faccio coraggio, sconfiggo i fantasmi oppure non dormo. Abbassare il tavolo: fatto. Prendere i cuscini degli schienali e metterli in mezzo: fatto. Letto: fatto. Fatto?!!?!?!

Dall’armadio prendo il lenzuolo di base, il piumino e i due cuscini.

Tutto qui, fatto.

Chiamo mia moglie, non ci posso credere.
Nemmeno lei quando le dico che sono in campeggio, in una roulotte.

E’ ora, vado al ristorante per la cena e finito, torno, mi leggo alcune pagine di un bel libro e nanna.

La mattina mi sveglio di colpo, appena la sveglia suona: ma dove sono?
Ho dormito di sasso, come non mai, senza nemmeno alzarmi una volta o dover lasciare il televisore acceso altrimenti niente sonno. Anzi, qui il televisore non c’è, eppure non ne sento la mancanza.

Fuori dalle finestre il tempo è quello tipico dell’autunno olandese: da suicidio per noi, gente del sud.

Mi lavo, mi vesto e vado a fare colazione.
I gestori mi chiedono come mi fossi trovato perché la padrona della roulotte in cui dormo, pensava che non fossi il tipo giusto.

Rispondo che aveva ragione lei, non era il mio tipo di soggiorno ideale, però mi sono trovato benissimo.

Senza rendermene conto: svuoto il wc a cassetta, carico l’acqua chiara, scarico quelle grigie e inizio a ridere, ridere di gusto.

Che cosa è successo?” mi chiede un vicino di piazzola, piacevolmente sorpreso.
Niente, ho scoperto che sto bene, devo chiamare mia moglie!“.

Io ero sempre quello, quello della vacanza ultra-confort eppure adesso sono cinque anni che abbiamo una roulotte e giriamo l’Europa, contenti e soddisfatti.

A volte si cambia e chi lo aveva detto che cambiare è sempre una evoluzione?
Lo confesso, mi sono evoluto.

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